“Siamo in un momento interessantissimo in cui per la prima volta l’umanità sta riflettendo potentemente su come si alimenta, ma purtroppo ci sono ancora due luoghi dove questo scarsamente accade, ed è paradossale: le facoltà di medicina e gli ospedali” ci racconta Silvia Goggi, medica e nutrizionista che da anni studia i presupposti scientifici della dieta vegana e propone regimi personalizzati ai propri pazienti.
Già: in Italia nonostante le evidenze scientifiche e le linee guida per l’alimentazione a base vegetale, anche per bambini e neonati, negli ospedali di prassi non si tiene conto dell’alimentazione come fattore da considerare per la prevenzione. Chiunque di noi sia stato ricoverato o abbia fatto visita a un ricoverato avrà visto nei piatti forniti ai degenti prosciutto cotto, stracchino, pollo, formaggi di vario genere confezionati. Menu peraltro uguali per tutti.
“Uno degli argomenti che più volte mi vengono proposti da persone restie ad abbracciare uno stile alimentare più vegetale è che anche in ospedale danno prosciutto e stracchino in convalescenza, ed è vero” continua Goggi. “Il punto è che gli ospedali si avvalgono di mense esterne e sono queste ultime a “decidere” il genere di alimenti da proporre. Non c’è un board ospedaliero dietro le scelte alimentari, e questo perché fino a qualche anno fa non vi era alcuna riflessione sull’alimentazione all’interno dei percorsi di studio accademici”.
C’è un razionale: le linee guida del Ministero della Salute (le più recenti risalgono comunque al 2018) aprono all’importanza di considerare diete a base vegetale per i degenti, fatto salvo il considerare le specifiche condizioni di ogni paziente, evitando alimenti problematici per lui. “Programmare diete che rispondano alle specifiche esigenze etiche, culturali, religiose di differenti gruppi” si legge, anche se in conclusione si consiglia ai gestori delle mense di non concedere menù differenti da quello di riferimento, se non in caso di patologie accertate.
Gli ospedali “veg”
In realtà negli Stati Uniti si sta andando in questa direzione. Dal 2023 il NYC Health + Hospitals, il più grande sistema sanitario municipale del paese, ha reso il cibo a base vegetale lo standard per i pasti dei ricoverati. Ciò significa che il cibo non contiene carne, latticini o uova. Se a un paziente non piace la prima opzione del menu, anche la seconda offerta è a base vegetale. Chi vuole la carne deve fare una richiesta speciale. Samantha Morgenstern, dirigente clienti e dietista presso Sodexo, la società di servizi di ristorazione che fornisce i pasti, ha dichiarato al New York Times che nove volte su 10 i pazienti hanno accettato i piatti “veg” e che il tasso di soddisfazione era superiore al 90%. “Basta non chiamarlo vegano” continua Morgenstern. Nell’offrire i menu ai pazienti, gli ospedali hanno preso la decisione strategica di evitare il termine sulle etichette che accompagnano i vassoi di cibo per paura che ciò avrebbe allontanato i commensali, preferendo l’espressione “cibo a base vegetale”. Peraltro, in seguito a questa scelta, si è riscontrato un risparmio iniziale sui costi di 59 centesimi per vassoio e, sebbene da allora tale importo abbia oscillato, ogni piatto costa al sistema di meno di quanto costasse prima.
In Italia l’esperimento che più si avvicina a questo è quello di Bolzano. Quello bolzanino è il primo ospedale d’Italia a proporre ogni lunedì un menù vegano ai propri dipendenti (non ai pazienti). L’anno scorso anche a l’ospedale “Degli infermi” di Biella ha iniziato a proporre la dieta vegetale riservata alle neo mamme che lo desiderano e questo semplicemente perché il “Degli Infermi” tra i pochi ospedali che possono adattare i piatti preparati nella mensa interna. In realtà già dal 2017 nelle mense scolastiche di Torino esiste il menu vegano senza grandi problemi. I ricercatori del “Degli infermi” nel 2022 hanno pubblicato i risultati di questo tentativo in un articolo scientifico sull’impatto salutare di un approccio nefrologico “green” per chi ha problemi di insufficienza renale che si basa su una copiosa letteratura scientifica.
Dal punto di vista strettamente legato alla salute del nostro organismo, e quindi lasciando momentaneamente da parte il tema dell’impatto ambientale, sono ormai molte le revisioni scientifiche negli anni hanno sottolineato che diete ricche di alimenti di origine animale minacciano la salute umana e planetaria più di quelle plant-based, anche non necessariamente completamente vegane, come abbiamo spiegato qui (link articolo).
Più educazione nelle università
Lo stesso vale per le università. Sono pochissime le mense che offrono alternative a base vegetale. Eppure, un articolo apparso nientemeno che su The Lancet nel 2023 sottolineava come le università dovrebbero guidare la transizione verso una dieta plant-based. “Procurandosi diversi tipi di alimenti, le università potrebbero ridurre molti di questi effetti negativi risparmiando anche denaro”. Come evidenziato in diversi rapporti recenti del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici e dalla EAT-Lancet Commission on Food, Planet, Health, riduzioni sostanziali della domanda di alimenti di origine animale sono vitali per raggiungere gli obiettivi climatici e per mantenere la produzione alimentare entro i limiti planetari.
Un primo passo – scrivono gli esperti della commissione di The Lancet – sarebbe quello di garantire che ogni giorno sia disponibile almeno un’opzione a base vegetale conveniente, soddisfacente e salutare; in modo ottimale, compresi prodotti arricchiti di nutrienti in linea con le raccomandazioni nutrizionali basate sulle evidenze. Un secondo passo sarebbe fornire agli studenti e al personale informazioni su ciò che mangiano tramite attraverso interventi di alfabetizzazione alimentare e tabelle di valutazione dell’impatto dei piatti. In terzo luogo, come già praticato in molte università, sarebbe necessario incoraggiare attivamente i cambiamenti nella dieta attraverso misure soft, come la riduzione della componente di origine animale in un determinato piatto e prezzi contenuti.
Per approfondire.
Mangiare vegetale è meglio. Ecco cosa dicono sei anni di studi scientifici
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Dieta vegana e dieta onnivora. Inchiesta su cibo e scienza, puntata 1
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