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Perché la guerra in Sudan è diversa dalle altre. Tutti i numeri e due grafici

Il Sudan è il terzo paese più grande dell’Africa e, dalla sua indipendenza, nel 1956, ha vissuto 15 colpi di stato e altrettanti scontri interni. Il conflitto attuale però, presenta caratteristiche che potrebbero distinguerlo per la gravità dei danni sulla popolazione civile.

 

Lo scontro odierno vede fronteggiarsi l’esercito regolare sudanese, guidato da Abdel Fattah al-Burhan e le Rapid Support Forces (RFS), un’organizzazione paramilitare con a capo Mohamed Hamdan Dagalo. Le ragioni del conflitto sono da individuare nel tentativo del dittatore di lunga data Omar Hasan Ahmad al-Bashīr, di difendere il suo governo dall’ennesimo golpe, attraverso una strategia a prova di colpo di stato definita “coupe-proofing”. L’idea del sovrano era quella di bilanciare la forza dell’esercito sudanese, attribuendo maggiori poteri alle Rapid Support Forces, creando un contrappeso che avrebbe impedito ai soldati di Al-Burhan di rovesciare il governo.

Il progetto finì male per Al-Bashir: i due comandanti si unirono e nell’aprile del 2019 diedero vita a un nuovo colpo di stato. La destituzione del dittatore fu vista di buon occhio sia dalla comunità internazionale che dalla popolazione sudanese, entrambi speranzosi di un governo civile-militare di transizione che avrebbe fatto da apripista per un governo civile di stampo democratico.

La componente civile del neo governo fu velocemente esclusa e, nonostante le pressioni di altri Stati e dei civili sudanesi, nè Bashit nè Hemeti decisero di cedere il potere in favore di un unico esercito nazionale e, anzi, ad aprile del 2023 iniziarono a scontrarsi.

Il conflitto attuale ha raggiunto un’intensità molto superiore rispetto a quella degli scontri passati, fatta eccezione per la guerra nel Darfur. Tra il 2003 e il 2005, infatti, nell’ovest del Sudan sono state uccise circa 200.000 persone, appartenenti alle tribù dei Fur, Masaliti e Zaghawa. È il primo evento del ventunesimo secolo considerato un genocidio da parte di alcuni studiosi.

Per approfondire. 

 

 

 

Dalla mappa si vede come finora le aree più colpite siano quelle della capitale Karthoum e del Darfur.
Nel Darfur occidentale è la città di El Geneina ad aver assistito all’evento finora più letale del conflitto: le Forze di Supporto Rapido, dopo uno scontro con le Forze Armate Sudanesi, hanno iniziato a devastare il paese e le stime dicono che, tra il 4 e il 6 novembre 2023, un numero compreso tra 800 e 2000 individui ha perso la vita, mentre 8000 persone sono state coattivamente spostate in Chad.

Da aprile 2023, in circa un anno e mezzo, più di 10 milioni di civili sudanesi sono dovuti fuggire, lasciando le loro abitazioni e rischiando di non tornare più nelle loro case. Il numero di vittime, secondo le Nazioni Unite, è superiore a 20.000, ma il connubio tra carestie ed epidemie potrebbe aggravare il bilancio.
Secondo i dati di ACLED, le vittime totali da gennaio 2023 ad agosto 2024 sono circa 25.500.
Tom Perriello, inviato statunitense in Sudan, sostiene che il numero di vittime stimato finora potrebbe sottovalutare il valore reale, che invece si aggirerebbe intorno ai 150.000 morti, avvicinandosi pericolosamente ai numeri di inizio terzo millennio.
I dati relativi alle vittime, come in qualsiasi conflitto, sono incerti; inoltre, in questa guerra i giornalisti sono spesso minacciati e costretti a limitare la propria libertà di espressione, il che aumenta la variabilità delle stime.

Nonostante l’inizio formale del conflitto sia ad aprile del 2023, il territorio sudanese vive periodi di scontri e tensioni dall’inizio della sua indipendenza. Instabilità politica che raggiunse il suo acme nel 2011, con la secessione del Sud Sudan.
Attraverso la seguente mappa si può vedere come numerosi scontri fossero presenti già nel biennio 2021-2022, ma quello che cambia rispetto a oggi è l’intensità degli stessi e il relativo numero di vittime. Non si sta quindi parlando delle solite dispute che permeano il territorio sudanese, ma di qualcosa di nuovo e più pericoloso.

Un lavoro del World Food Programme, che si legge su Barron’s, sostiene che il 95% dei sudanesi non riesca a consumare neanche un pasto al giorno: più di 40 milioni di persone resta un giorno senza mangiare a causa degli scontri.

I numeri sono destinati a peggiorare; infatti, le principali città colpite dal conflitto – Darfur, Kordofan e Khartoum – sono responsabili di una quota importante dell’intera distribuzione di cereali all’interno del Sudan, e il mancato raccolto del 2023 porterà a una quantità inferiore di cereali facendo così alzare i prezzi. La Food and Agriculture Organization, insieme al World Food Programme, sostengono che i prezzi dei cereali di base siano già aumentati del 50%-100%, se confrontati con i mesi degli anni precedenti. Sempre secondo un rapporto delle Nazioni Unite, il 2023 ha visto i prezzi del cibo aumentare del 228% rispetto ai due anni precedenti.

 

 

Anche il sistema sanitario rischia il collasso. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che 15 milioni di persone, circa il 35% dell’intera popolazione, non ha accesso ad assistenza sanitaria e che circa il 75% delle strutture sanitarie non riesce a operare a causa del conflitto.

 

La guerra scoppiata nel 2023 in Sudan ha in comune con gli altri scontri la sete di potere delle persone che l’hanno innescata, ma per l’intensità e le conseguenze che sta provocando sulla popolazione sudanese, è seconda solamente al conflitto iniziato venti anni prima, che ha visto morire 200.000 persone.
Filippo Grandi, Commissario dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, come riporta Politico, avverte che dinamiche simili alle atrocità degli anni 2003-2005 si potrebbero stare sviluppando e che “la fine immediata dei combattimenti e il rispetto incondizionato della popolazione civile da parte di tutte le parti sono fondamentali per evitare un’altra catastrofe”.

 

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