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cronaca

Come usare gli open data per valutare i Paesi a rischio di crisi umanitaria

Si chiama Inform Risk Index, è espresso con un valore compreso tra zero e dieci ed è elaborato per conto dell’Unione Europa dal Joint Research Centre e dalla Direzione generale per la protezione civile e le operazioni di aiuto umanitario europee. Realizzato a partire da open data, misura il rischio che una nazione venga investita da una crisi umanitaria. Dove, per crisi umanitaria, non si intendono solo quelle di natura geopolitica, legate a una guerra, ma anche a disastri naturali o crisi economiche.

L’Inform Risk Index raccoglie infatti dati relativi a catastrofi naturali come terremoti, alluvioni e siccità, legati a fattori socio-economici (dati sulla povertà, la disuguaglianza e l’accesso ai servizi), le informazioni sui conflitti armati in corso e l’instabilità politica e i dati che misurano la disponibilità di risorse di un paese per affrontare le crisi, sia economiche che infrastrutturali. Informazioni che vengono utilizzate per elaborare un indicatore che varia da un valore minimo di zero, che indica il rischio più basso, a dieci, che fa ovviamente riferimento ad un rischio più elevato.

InfoData ha rappresentato questo indicatore nella mappa che apre questo pezzo, nella quale, per comodità di lettura, è stato inserito un filtro che permette di visualizzare la situazione nei singoli continenti (in basso per chi legge da mobile, in alto a sinistra per chi leggesse da desk). Di default viene visualizzata l’Europa, dove il rischio è molto basso nei paesi del centro Nord, basso nella cosiddetta garlic belt, ma anche in Francia, Germania, Polonia e Lettonia. Viene invece indicato come alto in Ucraina, situazione legata ovviamente all’invasione da parte della Russia.

In termini numerici, l’Information Risk Index di Kiev è pari a 6 su 10. Per il resto, il vecchio continente oscilla tra l’1 del Liechtenstein e i 3,2 dell’Albania, dove il rischio è indicato come medio. L’Italia ha un valore pari a 2,5. A livello mondiale i rischi di livello molto alto si concentrano soprattutto in Africa, dove spiccano i valori di Somalia (8,8), Sudan del Sud (8,5) e Repubblica Centrafricana (7,7). Ma ci sono anche lo Yemen (8) e l’Afghanistan (7,7) in Asia e Haiti (7,2) in Nord America. Il paese meno a rischio del mondo è invece Singapore, dove l’indice non va oltre 0,7.

L’indice elaborato per conto della Commissione Europea consente anche di porre l’attenzione ai rischi di crisi umanitaria legati al cambiamento climcatico. In questo caso vengono impiegati in modo particolare gli open data relativi agli eventi climatici estremi, come ad esempio quelli legati alle temperature o alle inondazioni, oltre alle informazioni che misurano la resilienza delle comunità rispetto agli effetti della crisi climatica.

Anche in questo caso, il paese più tranquillo è Singapore, con un indice che si ferma a 0,6, mentre quello più a rischio si conferma la Somalia (8,8). E l’Italia? Il valore è pari a 2,5, identico a quello di rischio generale. Segno che, come peraltro si sta vedendo in Emilia Romagna in queste settimane, il principale fattore che può generare una crisi umanitaria nel nostro paese è legato agli eventi estremi dovuti al cambiamento climatico.