La Striscia di Gaza è una delle aree più densamente popolata del pianeta con i suoi più di due milioni di abitanti su una superficie di circa 362 km quadrati.
La reazione all’attentato del 7 ottobre ha devastato il territorio palestinese lasciando una scia di morti e macerie.
Lo United Nations Satellite Centre, nel mese di luglio, ha compiuto un’analisi sugli edifici distrutti all’interno della Striscia e i risultati sostengono che ci siano più di 42 milioni di tonnellate di macerie sul suolo dell’enclave palestinese. Le stime dei detriti derivanti dalla distruzione degli edifici può variare in base alle assunzioni fatte in fase di modellazione, ma aldilà di qualche variazione, il risultato finale non cambia: per ogni chilometro quadrato della Striscia ci sono più di 115.000 tonnellate di detriti.
Le zone più colpite sono quelle di Gaza e Khan Yunis, con rispettivamente 46.370 e 42.175 edifici danneggiati. Seguono Gaza Nord (34.476), Rafah (23.467) e Deir Al-Balah (17.290).
Nel complesso, il 66% degli edifici che erano presenti sulla Striscia risulta ora danneggiato.
L’analisi effettuata da UNOSAT permette anche di distinguere l’entità del danno subito dagli edifici a causa dei bombardamenti. La maggior parte delle lesioni si traduce in una distruzione moderata dell’edificio, mentre la seconda tipologia di danno più presente è quella che demolisce completamente la struttura. Insieme, queste due categorie costituiscono le maggiori conseguenze che le case e gli edifici palestinesi hanno subito.
Le zone più colpite sono quelle di Gaza e Khan Yunis, con rispettivamente 46.370 e 42.175 edifici danneggiati. Seguono Gaza Nord (34.476), Rafah (23.467) e Deir Al-Balah (17.290).
Nel complesso, il 66% degli edifici che erano presenti sulla Striscia risulta ora danneggiato.
L’analisi effettuata da UNOSAT permette anche di distinguere l’entità del danno subito dagli edifici a causa dei bombardamenti. La maggior parte delle lesioni si traduce in una distruzione moderata dell’edificio, mentre la seconda tipologia di danno più presente è quella che demolisce completamente la struttura. Insieme, queste due categorie costituiscono le maggiori conseguenze che le case e gli edifici palestinesi hanno subito.
n un articolo di Reuters si affronta la questione delle macerie, facendo notare che cumulando i detriti si potrebbe riempire la Piramide di Cheope 11 volte.
Una prima stima, visibile nel pezzo sopra citato, sostiene che potrebbero essere necessari più di 10 anni per ripulire la zona dalle rovine degli edifici distrutti.
Dal punto di vista temporale, i detriti accumulati da ottobre a oggi sono circa 14 volte quelli generati nel corso dei vari scontri dal 2008 in poi. Volendo riassumere, attraverso quattro eventi, la storia più recente, quella degli ultimi venti anni, del conflitto tra Israele e Palestina si potrebbero scegliere i seguenti scontri:
- 2008: “Operazione Piombo Fuso”;
- 2014: “Operazione Margine Protettivo”;
- 2021: “Unity Intifada”;
- 2023: Guerra Israele-Hamas.
Ognuno dei precedenti conflitti ha portato distruzione sul suolo della Striscia e creato una nuova quantità di macerie. Nel 2008, sono state prodotte 600.000 tonnellate di detriti, nel 2014, 2 milioni e nel 2021, 370.000, per un totale di circa 3 milioni di rovine.
Solamente in meno di un anno, da ottobre 2023 a luglio 2023, sono state generate più di 42 milioni di macerie.
La rimozione delle macerie non è solamente una questione di tempo – le Nazioni Unite sostengono che saranno necessari 14 anni per farlo -, ma anche economica e sanitaria.
Il direttore dell’ufficio per Gaza delle Nazioni Unite, Alessandro Mrakic, fa notare che saranno necessari più di un miliardo di dollari per ripulire la quantità attuale di rifiutii. Tale costo e l’attuale inasprirsi del conflitto fa demordere da un serio investimento per la ricostruzione di Gaza: senza una tregua duratura, o addirittura una pace definitiva, qualsiasi investimento potrebbero essere vano e cadere sotto l’ennesimo scontro tra Israele e i gruppi armati di Hamas.
I gazawi sono costretti a vivere tra le macerie e la loro condizione sanitaria ne paga le conseguenze. Il 29 luglio 2024, un report delle Nazioni Unite sostiene che il sistema per la gestione dei rifiuti solidi nella Striscia è collassato e i cittadini palestinesi sono costretti a improvvisare aree in cui riporre i propri scarti.
L’accesso alle principali discariche è impossibilitato e la convivenza vicino a centri di rifiuti improvvisati nuoce alla salute dei cittadini: dal 7 ottobre sono stati registrati 1 milione di casi di infezione respiratoria – la popolazione totale è di circa 2 milioni di abitanti – e 570.000 casi di diarrea acuta.
L’amianto e altre sostanze nocive presenti nei detriti rischiano di provocare danni anche negli anni a venire, specialmente per quanto riguarda il rischio di tumore o di difetti alla nascita. Considerando l’attuale difficoltà in cui imperversano gli ospedali operanti nell’area, il rischio di un collasso sanitario è davvero elevato.
Quello sanitario non è l’unico rischio: sotto le macerie sono presenti anche bombe non esplose, che rappresentano una minaccia, sia per chi continua a vivere nei pressi degli edifici collassati, sia per chi si occuperà della gestione dei detriti.
Inoltre, tra le strutture distrutte si stima la presenza di più di 10.000 persone considerate finora disperse e che, purtroppo, rischiano di aggravare il bilancio delle vittime.
Attualmente, anche a causa della sua elevata densità abitativa, che richiede un maggior numero di edifici in poco spazio, il livello di distruzione nella Striscia di Gaza batte quello di qualsiasi altro conflitto ancora in corso. Più di due terzi degli edifici presenti prima del 7 ottobre sono ora distrutti o danneggiati.
ACLED utilizza quattro indicatori per misurare la gravità di un conflitto e, in un report pubblicato a fine luglio, considera la Palestina il paese più pericoloso in cui vivere. Su quattro degli indicatori utilizzati – diffusione geografica, letalità, pericolo per i civili e frammentazione -, l’unica guerra che in qualche modo supera quella in Medio Oriente è quella in Myanmar, che con 1500 gruppi armati, ottiene il triste primato per la frammentazione, cioè il numero di gruppi armati che sono attivi in una determinata zona di conflitto.
Lo scontro tra Israele e Hamas, invece, primeggia per i restanti tre indicatori utilizzati per studiare un conflitto: diffusione geografica, letalità e pericolo per i civili.
Per approfondire.
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