Si riempiono pagine di giornali sul calo demografico in Italia, dando fondamentalmente la colpa alle donne, ma della difficoltà di adottare, specie a livello internazionale, non si parla quasi mai.
Le coppie (eterosessuali, dato che in Italia è vietata l’adozione alle altre coppie) disposte ad adottare sono sempre di meno e che oggi in Italia si adotta molto meno di qualche decennio fa. Le famiglie disponibili ad adottare sono state 7900 nel 2021, contro le 12900 del 2001. Nel 2021 si sono registrate 866 adozioni nazionali, molte meno delle 1290 del 2001. 899 sono state le dichiarazioni di adottabilità di bambini con genitori noti (più del 2001) e 173 quelle di genitori ignoti (meno del 2001).
Nel complesso comunque a livello nazionale i bambini adottabili sono di meno rispetto alle famiglie disponibili ad adottare, anche perché l’adozione nazionale non ha costi ingenti come quella internazionale, e richiede tempi più brevi. Dalla dichiarazione di disponibilità all’autorizzazione all’ingresso in Italia dei minorenni, il percorso delle coppie adottive del 2023 è durato in media quasi 4 anni e mezzo. In media dalla dichiarazione di disponibilità al decreto di idoneità passa un anno, da lì al conferimento incarico altri 8 mesi, più ulteriori due anni per l’abbinamento con il bambino e altri 6 mesi per l’effettiva autorizzazione all’ingresso.
I dati della Commissione Adozioni Internazionali relativi al primo semestre 2024 evidenziano il 5,6% di adozioni concluse in meno rispetto allo stesso periodo del 2023 e il 14,3% in meno rispetto al primo semestre 2022. In numero assoluto, nei primi sei mesi del 2024 sono state 234 le adozioni internazionali concluse, contro le 478 del 2023 e le 565 del 2022.
Un dato a latere interessante. Non esiste un database nazionale sul numero di bambini nati in Italia e non riconosciuti dalle madri, e che nella maggior parte dei casi – ma non sempre – sono affidati agli ospedali in anonimato. La stima più recente l’ha elaborata nel 2023 la società italiana di neonatologia: sarebbero circa 300 bambini l’anno.
Non c’è nemmeno un elenco ufficiale delle cosiddette “culle per la vita”, le culle riscaldate dove una donna può lasciare il bambino partorito altrove, anche qui in anonimato, garantendogli cure immediate. Secondo i dati raccolti dal Centro di Ascolto alla Vita Abbiategrasso-Magenta-Rho, in Italia ci sarebbero 64 culle per la vita (l’elenco è qui). Numeri ben lontani dal significare un servizio di prossimità.
Sono crollate ancora di più le domande di disponibilità di adozione internazionale. Nel 2021 si sono contati 1612 decreti di adozione internazionale contro i 6331 di 20 anni prima, e 598 adozioni vere e proprie contro le quasi 4000 del 2001. Un gap importante, ma precisano gli esperti della Fondazione Aibi – che i bimbi adottabili a livello internazionale sono sempre più grandi e con bisogni speciali, perché anche nei paesi più svantaggiati sono sempre più in vigore politiche in sostegno alla genitorialità. Secondo UNICEF sarebbero comunque 200 milioni i bambini abbandonati nel mondo.
A fronte di 585 bambini e ragazzi adottati a livello internazionale nel corso del 2023, 412, il 70%, rientrano tra i portatori di special needs. La fetta più ampia è quella dei minori con più di 7 anni di età. La distribuzione delle classi d’età evidenzia una ulteriore diminuzione dei bambini più grandi: sopra i 10 anni si cumula il 12,5% dei casi, contro il 13,3% del 2022. Inoltre, nel 2023 diminuisce, seppur lievemente, l’incidenza dei più piccoli, con un’età inferiore ai 4 anni (29,6%), che invece rappresentavano il 30,5% nel 2022. Si conferma, nel tempo, la composizione percentuale di genere, che risulta costantemente sbilanciata verso l’adozione di bambini rispetto alle bambine: 58,3% contro 41,7%.
A differenza di quello che accadeva anni fa, l’Europa non rappresenta più il continente a maggiore frequenza per le adozioni internazionali decretate in Italia. Un’adozione su tre è dall’Asia, il 28% dal continente americano e un altro 10% dall’Africa.
La flessione nel numero delle adozioni concluse è dovuta principalmente alle criticità riscontrate nei Paesi di origine da cui storicamente provenivano molti minori adottati da famiglie italiane quali la Federazione Russa, l’Ucraina, la Repubblica Polare Cinese e la Bielorussia, nonché da una riorganizzazione interna dell’Autorità Centrale colombiana che ha rallentato i percorsi adottivi delle coppie instradate nel Paese.
Per adottare in Italia è necessario che il figlio abbia almeno 18 anni in meno dei futuri genitori e al massimo 45 anni. A meno che fra i coniugi non sussista una differenza d’età di almeno 10 anni. In quel caso fa fede l’età della persona più giovane nella coppia e la differenza di età massima con il figlio non è 45 ma 55 anni. In sintesi una coppia di 48 enni può adottare un bambino di almeno 3 anni, mentre una coppia dove uno dei due ha 38 anni e l’altro 48, può adottare anche un bambino di pochi mesi.
Oggi alla data del decreto di idoneità, l’età media dei genitori risulta pari a 44,2 anni per gli uomini e 42,4 anni per le donne. Alla tappa successiva, ovvero all’autorizzazione all’ingresso del minorenne straniero a scopo adottivo, la distribuzione per età dei coniugi slitta in avanti e raggiunge un’età media di 47,6 anni per gli uomini e 45,9 anni per le donne. Per entrambi, la classe di età a maggiore frequenza è la 45-49 anni: 36,6% per gli uomini, 41,2% per le donne.
La fetta più ampia degli adottanti è laureata – il 44,8% tra gli uomini e il 60,5% tra le donne. 8 coppie su 10 adottano un solo bambino, 2 su 10 due o più fratelli.
Tra le regioni italiane, le sole realtà a superare in termini assoluti le settanta adozioni annue risultano la Lombardia (84), la Campania (73) e la Toscana (73). Rispetto al 2022 – eccezion fatta per Sicilia e Veneto – si osserva una generalizzata diminuzione in tutte le aree del Paese con picchi massimi di decremento registrati in Liguria (-52%), Umbria (-52%) e Sardegna (-73%).
A differenza dell’adozione, i numeri dell’affido familiare sono stabili negli ultimi anni. Secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, al 31 dicembre 2022 risultano collocati in famiglie affidatarie 16.382 persone, su 33.299 minorenni allontanati dalla famiglia di origine al netto dei minorenni stranieri non accompagnati.
L’affido è più semplice – burocraticamente parlando – dell’adozione, e possono rendersi disponibili anche persone singole o coppie non sposate, indipendentemente dall’orientamento sessuale. Il centro non è però avere un figlio proprio, ma supportare la genitorialità di altri mettendo in campo la propria.
L’affido è un accordo temporaneo della durata di 24 mesi in cui una persona o una coppia si prende cura di un bambino, quando i genitori biologici non possono, per vari motivi, garantire il benessere e la sicurezza del minore. Se al termine del periodo di affidamento non ricorrono ancora le condizioni perché il bambino possa ritornare con la sua famiglia, il tribunale per i minorenni può prorogare, nell’esclusivo interesse del minore, la durata dell’affidamento prevista dalla legge. In alcuni casi si può attuare l’affido “senza scadenza” o “sine die”, poiché il tribunale potrebbe prorogare la durata dell’affidamento di volta in volta fino al compimento dei 18 anni di età del minore, non sussistendo né le condizioni per l’adozione, né le condizioni per un ritorno all’interno della famiglia di origine.
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