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economia

Occupazione, crescono i contratti a tempo indeterminato per i neolaureati. Ma quanto si guadagna ad un anno dalla laurea?

 

Il 43% dei neolaureati ha migliorato le proprie condizioni contrattuali a tre anni dal conseguimento del titolo. Inoltre, considerando i contratti a tempo indeterminato, nel 2023 sono stati il 20% del totale, mentre nel 2017 erano solo il 6%. Sono queste le rilevazioni presenti nell’ultimo rapporto MHEO (Milan Higher Educatio Observatory), l’osservatorio finanziato attraverso i fondi del PNRR che si colloca all’interno dell’Ecosistema dell’Innovazione MUSA (Multilayered Urban Sustainability Action). Lo studio analizza le dinamiche occupazionali dei laureati, con un focus particolare sulla Lombardia, dove si riscontra, tra le altre cose, che per i neolaureati UniMi (Università degli studi di Milano) e UniMib (Università degli studi di Milano-Bicocca), con il conseguimento di un titolo di studio per un corso di laurea in area scientifica, i tempi di attesa per l’ingresso sul mercato del lavoro sono notevolmente inferiori rispetto a quelli dell’area umanistica.

 

Dall’analisi comparativa, inoltre, emerge che per i due periodi presi in considerazione (ossia dal 2017 al 2020 e dal più recente 2020 al 2023) i contratti a tempo determinato, seppur rimangano la tipologia più frequente a tre anni dalla laurea, stiano perdendo importanza (registrando un -6%, passando dal 44% al 38%). Il che, a quanto pare, si è tradotto con un aumento dei contratti a tempo indeterminato, per i quali si rileva un +7 punti percentuali (passando dal 26% al 33%). Ma, entrando nel vivo dell’analisi, come cambia il tasso di disoccupazione per chi si laurea in Lombardia rispetto alla media italiana? E quanto si guadagna ad un anno dalla laurea?

 

 

Un punto che salta all’occhio nel rapporto riguarda la comparazione della disoccupazione tra il dato della Lombardia, quello del Nord Italia e il nazionale. Nel 2023, i laureati delle Università lombarde, presentano un tasso di occupazione che supera la media nazionale ad un anno dal titolo (2022). L’aumento in questione è pari al +4,1% per i laureati di primo livello e ad un +4,5% per quelli di secondo livello. Ciò avviene con una particolare attenzione al percorso lavorativo da intraprendere. Infatti, sempre considerando il ventaglio temporale dell’anno successivo a quello del conseguimento del titolo, i laureati dagli atenei meneghini dimostrano rispetto al dato nazionale una minore disponibilità ad accettare lavori non attinenti al proprio titolo di studio o a basso reddito. Inoltre, nella scelta del lavoro, appare cruciale la possibilità di crescita nella carriera e per competenze (senza mai tralasciare il guadagno). Tuttavia, nell’ultimo quinquennio, si registra un incremento evidente
dell’importanza del tempo libero e della flessibilità dell’orario di lavoro.

 

 

Ma, al di là delle opportunità contrattuali, delle floride numeriche occupazionali e nonostante l’aumento nominale delle retribuzioni, lo studio ci dice anche che l’inflazione ha ridotto il potere d’acquisto dei neolaureati lombardi dal 2018 al 2023, causando una contrazione dei loro salari reali. Questo avviene anche se tendono a percepire una retribuzione mensile netta mediamente più alta rispetto al dato nazionale, sia per il primo livello (1’399 € contro i 1’384 € nazionale) sia per il secondo livello (1’484 € contro 1’432 €). Ma conta tanto l’area disciplinare della laurea appena conseguita. Le lauree STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), insieme a quelle sanitarie, registrano, ad un anno dal conseguimento, i maggiori livelli retributivi (faccenda che si confermato anche nei dati a cinque anni dalla laurea).

 

Ed è proprio con le STEM che si conclude il rapporto, con l’auspicio di attuare misure per “promuovere l’educazione e la conoscenza delle discipline STEM in Europa fin dall’infanzia”, ma anche per “chiudere il gender gap in STEM, rimuovendo gli ostacoli che ancora oggi limitano alle donne l’accesso all’educazione e alle carriere in questo ambito”. Vi chiederete perché una tale attenzione per queste aree tematiche. Ebbene, ci risponde proprio il rapporto, sostenendo che: “negli anni a venire le competenze STEM saranno sempre più centrali per sostenere le transizioni multiple del nostro tempo (ambientale, energetica, digitale, sociale e demografica) e per ripensare le modalità con cui viviamo, lavoriamo, produciamo e consumiamo”. E noi della redazione di InfoData, che con i numeri e le loro misurazioni cerchiamo di monitorare l’attualità di tali complessi argomenti, non possiamo che esserne d’accordo.

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