Sono innumerevoli le storie di persone che raggiungono i 100 anni, e le loro abitudini quotidiane spesso contraddicono i consigli convenzionali su dieta, esercizio fisico e consumo di alcol e tabacco. Eppure, decenni di ricerche dimostrano che ignorare questi consigli può influire negativamente sulla salute di molte persone e accorciare la loro vita. Al tempo stesso ci sono persone giovani che vengono colpite da tumori incurabili. Quanto l’invecchiamento dipende da noi e quanto dai nostri geni è una domanda da un milione di dollari a cui la scienza sta cercando di dare una risposta.
Gran parte dell’invecchiamento sano dipende dai comportamenti
Diverse ricerche suggeriscono che raggiungere gli 80 o addirittura i 90 anni è in gran parte sotto il nostro controllo.
Uno studio pubblicato nel 2024 ha analizzato gli stili di vita di oltre 276 mila veterani statunitensi di età compresa tra i 40 e i 99 anni rispetto a una serie di 8 comportamenti “sani”: seguire una dieta sana, fare regolare attività fisica, dormire bene, gestire lo stress, avere relazioni forti e non fumare, non abusare di oppioidi e non eccedere nel bere. Nel complesso è emerso che seguire tutti e 8 i consigli portava a un rischio significativamente più basso di mortalità prematura e a un’aspettativa di vita stimata dopo i 40 anni più lunga, fino a 24 in più rispetto a chi aveva abitudini meno sane.
Certo, la ricerca mostra sempre di più che invecchia più in salute chi comincia sin da giovane ad avere uno stile di vita sano, anche se correggersi in corsa porta comunque dei benefici. Una ricerca pubblicata sull’American Journal of Preventive Medicine ha scoperto che, che smettere di fumare si traduce in un vantaggio in termini di potenziali anni di vita, sia che si smetta a 35 anni che a 75 anni.
Già nel 2018 un altro studio aveva evidenziato che l’adesione a 5 fattori di stile di vita a basso rischio (non fumare, peso sano, attività fisica regolare, dieta sana e consumo moderato di alcol) potrebbe prolungare la speranza di vita a 50 anni di 14 anni per le donne e di 12,2 anni per gli uomini, rispetto agli individui che non adottano nessuno di questi fattori. Questa analisi è stata condotta utilizzando i dati provenienti dal Nurses’ Health Study (78 mila statunitensi monitorati dal 1980 al 2014) e dall’Health Professionals Follow-up Study (44 mila persone fra il 1986 e il 2014).
In realtà diversi studi hanno rivelato che molte persone con vite eccezionalmente lunghe non hanno abitudini più salutari rispetto alla media degli americani. Eppure, vivono più a lungo e hanno tassi inferiori di malattie legate all’età, come malattie cardiache, cancro e demenza.
I centenari ritardano le malattie sin da giovani
Sembra però che i centenari raggiungano questo traguardo grazie alla loro capacità genetica di sopravvivere, ritardare o evitare le malattie in misura maggiore rispetto a chi vive meno a lungo. Una ricerca pubblicata nell’agosto 2024 ha analizzato tutti gli individui di età superiore ai 60 anni, nati tra il 1912 e il 1922 nella contea di Stoccolma (170.787 persone). Utilizzando dati storici, i partecipanti sono stati seguiti prospetticamente dal 1972 al 2022 e stratificati in base all’età al momento della morte. Sono dunque stati calcolati i tassi di incidenza specifici per età e il rischio di vita residuo a partire dai 60 anni per ictus, infarto miocardico, frattura dell’anca e vari tipi di cancro, confrontando i centenari con coloro che sono morti prima dei 100 anni. I primi presentano tassi di incidenza specifici per età inferiori per quasi tutte le malattie e le fasce di età. Nonostante la loro vita più lunga, i loro rischi di vita per tutte le malattie, ad eccezione delle fratture dell’anca, sono inferiori rispetto a quelli dei non-centenari. Ciò suggerisce che i centenari non solo ritardano, ma talvolta evitano, molte delle malattie legate all’età, piuttosto che sopravvivere a esse per un periodo maggiore. Questi dati mostrano inoltre come i centenari presentino tassi di malattia più bassi fin da età più giovani rispetto ai loro coetanei meno longevi.
Ancora. Lo NIA Long Life Family Study (LLFS) è uno studio longitudinale, multicentrico e multinazionale, basato sulla popolazione, che indaga i determinanti genetici e non genetici della longevità eccezionale e dell’invecchiamento sano. La prima valutazione condotta fra il 2006 e il 2009 ha coinvolto 4.953 individui provenienti da 539 famiglie a due generazioni, selezionate dal 1% superiore della Family Longevity Selection Score (FLoSS), uno strumento che misura il grado di aggregazione familiare della longevità. Sono stati raccolti moltissimi dati demografici, antropometrici, cognitivi, relativi alle attività quotidiane, l’indice caviglia-braccio, la pressione sanguigna, la performance fisica, la funzione polmonare, oltre a campioni di siero, plasma, linfociti, globuli rossi e DNA. È stato effettuato anche uno studio di associazione genome-wide (GWAS). La seconda valutazione nel periodo 2014–2017, ha ripetuto tutti i protocolli della prima visita, aggiungendo l’ecografia carotidea per valutare la placca aterosclerotica e lo spessore della parete, ulteriori test cognitivi e la valutazione della percezione di affaticamento.
Risultato: in media, le famiglie di centenari mostrano profili di invecchiamento più sani rispetto alle popolazioni di riferimento, anche se si osserva una notevole eterogeneità tra le famiglie, alcune delle quali presentano una cognizione eccezionale, altre una forza di presa superiore alla media, altre ancora una funzione polmonare eccezionale, con pochissima sovrapposizione tra queste famiglie.
Esiste una forte ereditarietà per i principali fenotipi di invecchiamento sano, sia trasversalmente che longitudinalmente, suggerendo che almeno parte di questa protezione potrebbe essere genetica. Tuttavia, poca della variazione in questi fenotipi ereditabili è spiegata dal genoma comune, il che potrebbe indicare che varianti protettive rare per fenotipi specifici siano presenti in alcune famiglie selezionate. Alcuni geni sembrano influenzare il processo stesso di invecchiamento. Uno che è stato trovato in diversi studi sui centenari si chiama FOXO3, ed è coinvolto in molti aspetti fondamentali della salute cellulare.
Geni che contrastano i cattivi comportamenti?
Uno dei principali benefici di questi geni longevi potrebbe essere quello di contrastare comportamenti poco salutari. Uno studio del 2021 che ha confrontato i figli dei centenari con una popolazione di controllo, ha rilevato che, tra i due gruppi, quelli con uno stile di vita sano avevano una prevalenza simile di malattie cardiovascolari. Ma tra quelli con stili di vita poco salutari, i figli dei centenari avevano comunque bassi tassi di malattia, mentre nel gruppo di controllo non era così.
Gli esperti hanno sottolineato che molti di questi geni sono molto rari, probabilmente presenti in meno dell’1% della popolazione. (Probabilmente non è un caso che una percentuale altrettanto piccola di persone arrivi ai 100 anni.) Non esiste nemmeno un singolo gene che offra protezione contro tutto l’invecchiamento e le malattie legate all’età; è più probabile che siano centinaia di geni a combinarsi per fare la differenza.
Per approfondire.
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