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economia

80 mila donne in Italia vivono con mutilazioni genitali. Gli operatori sanitari sono preparati?

 

Parola del Ministero della Salute: nel nostro paese, circa 80.000 donne vivono con le cicatrici fisiche e psicologiche delle mutilazioni genitali femminili (MGF), tra cui circa 7.000 sono minorenni. Un fenomeno drammatico che colpisce globalmente 200 milioni di donne, ma che in Italia continua a rimanere sotto il radar di una corretta gestione sanitaria e sociale. A rivelarlo è uno studio recentemente presentato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, in occasione della Giornata Mondiale contro le MGF, che si celebra il 6 febbraio.

Il rapporto ha coinvolto oltre 300 medici, tra ginecologi, ostetriche e pediatri, attraverso un sondaggio online e ha concluso che l’86% dei ginecologi e il 7% dei pediatri ha avuto esperienza di donne con queste mutilazioni nel corso della propria carriera. Eppure, il 60% degli intervistati ha dichiarato che non si sente preparato ad affrontare il fenomeno, con il 50% dei professionisti che attribuisce erroneamente la pratica a motivazioni religiose.

Le mutilazioni genitali femminili (MGF) sono interventi che comportano la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni, o altre lesioni agli organi genitali, eseguite per motivi che non hanno alcuna giustificazione medica. Queste pratiche non offrono alcun beneficio per la salute delle donne, anzi, possono provocare una serie di gravi conseguenze. Tra le principali complicazioni figurano emorragie pericolose, infezioni, problemi urinari e danni che si manifestano anche a lungo termine. Le MGF, inoltre, possono causare difficoltà durante il parto, aumentando significativamente il rischio di morte per il neonato. Questa pratica costituisce una grave violazione dei diritti umani delle donne.

In Italia, nonostante l’esistenza di normative specifiche contro questa pratica, emerge con chiarezza la necessità di un rafforzamento della formazione sanitaria e di una maggiore integrazione tra i professionisti del settore.

L’indagine 

Lo studio, condotto dal Centro per la Salute Globale dell’Università Cattolica in collaborazione con l’ISS, ha mostrato risultati sono chiari e preoccupanti: il 60% degli operatori sanitari intervistati ha ammesso di non avere una preparazione sufficiente per affrontare il tema delle mutilazioni genitali femminili. Il dato è ancora più allarmante se si considera che circa il 70% di questi medici non sa come indirizzare le pazienti verso strutture specializzate per la gestione delle complicanze legate alle MGF.
Un altro aspetto interessante riguarda l’esperienza pratica: l’85% di ginecologi e ostetriche ha avuto esperienza con le MGF, ma circa il 35-40% di loro è in grado di riconoscere solo le lesioni di tipo I, mentre oltre il 50% è in grado di identificare quelle di tipo II. Le lesioni di tipo III, che riguardano la resezione parziale o totale dei genitali esterni (si parla di “infibulazione”, sono più frequentemente riconosciute durante il parto, ma i pediatri, al contrario, dichiarano di incontrare raramente casi di mutilazioni genitali nei loro pazienti. Questi dati pongono in evidenza l’importanza di una preparazione trasversale che coinvolga tutte le figure professionali della sanità, non solo ginecologi e ostetriche, ma anche pediatri e specialisti in salute pubblica.

La mancanza di registrazione

Un altro dato significativo emerso dall’indagine riguarda la bassa registrazione delle mutilazioni genitali femminili nelle cartelle cliniche. Questo aspetto è cruciale, poiché la registrazione delle MGF nelle cartelle potrebbe rappresentare il primo passo per una maggiore tutela delle pazienti e per l’identificazione precoce di problematiche sanitarie legate alle mutilazioni. Nonostante la legislazione italiana contro le MGF, che punisce severamente la pratica, il fatto che molte mutilazioni non vengano registrate ufficialmente dai medici solleva dubbi sulla reale efficacia della legge, che rischia di non proteggere adeguatamente le vittime. In alcuni casi, inoltre, la mancata registrazione delle mutilazioni genitali potrebbe portare a complicazioni legali per le pazienti o i genitori, senza affrontare la vera radice del problema.

Gli autori dello studio propongono una soluzione pragmatica: introdurre la registrazione delle MGF nelle cartelle cliniche delle donne che partoriscono, in modo da monitorare meglio il fenomeno e, soprattutto, garantire un’interazione tra le diverse specializzazioni mediche coinvolte nella gestione delle pazienti. La trasmissione tempestiva di queste informazioni al neonatologo e al pediatra potrebbe costituire il primo passo fondamentale per proteggere le neonate da potenziali mutilazioni future.

Le cose non sono cambiate di molto nel tempo

Nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni, la lotta contro le MGF in Italia e nel mondo si scontra con una realtà difficile da modificare. Nonostante le numerose leggi e campagne di sensibilizzazione, più del 70% degli operatori sanitari italiani ha riferito che il numero di pazienti con mutilazioni genitali non è cambiato sostanzialmente, con solo il 30% che ha osservato una leggera diminuzione. Un dato inquietante che evidenzia la difficoltà di incidere concretamente su una pratica radicata culturalmente in molte comunità.

Le 5 bufale sulle mutilazioni genitali femminili

Il Centro Nazionale per la Medicina di Genere dell’ISS ha anche fornito alcuni spunti per sfatare i miti più diffusi sulle MGF, che continuano a influenzare negativamente la comprensione del fenomeno. Tra i più comuni luoghi comuni:
1. Le MGF sono una pratica religiosa – Falso. Non esiste alcuna religione che prescriva o imponga le mutilazioni genitali. La pratica preesiste alla nascita delle religioni monoteiste.
2. Alcune forme di MGF sono meno gravi – Falso. Ogni tipo di mutilazione, indipendentemente dal grado di invasività, ha conseguenze fisiche e psicologiche devastanti.
3. Le MGF sono praticate solo da persone poco istruite o in contesti rurali – Falso. Le mutilazioni genitali possono colpire donne di ogni estrazione sociale e avvenire in qualsiasi contesto, urbano o rurale.
4. Le MGF sono una questione esclusivamente africana – Falso. Le mutilazioni genitali femminili sono una problematica globale che interessa donne di ogni continente.
5. Praticare le MGF in ospedale riduce i rischi – Falso. La medicalizzazione della pratica non riduce i danni, che restano permanenti e gravissimi.

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