C’è un curioso paradosso mediatico che caratterizza il panorama del campionato NBA tra la fine di gennaio e la prima metà di febbraio che culmina con il weekend dedicato all’All Star Game.
Come mai facciamo riferimento ad un paradosso mediatico?
Potremmo rispondere spezzando la risposta in due parti: l’importanza ed il prestigio di essere convocati da un lato e la competitività della gara delle stelle dall’altra.
Partiamo col dire che se c’è una cosa in cui la NBA eccelle è la capacità di coinvolgere i tifosi e di riuscire a rendere mediatico anche il dettaglio più insignificante, quindi figuriamoci andare a stilare la lista dei giocatori più meritevoli per competere durante l’All Star Sunday in cui ci dovrebbe essere una sfida piuttosto sentita da proporre in diretta mondiale.
Usiamo il condizionale perché da ormai una decina d’anni l’evento finale del weekend delle stelle si è trasformato in una gara che di competizione ha davvero ben poco, facendo registrare punteggi sempre più alti, figli di una totale assenza di applicazione difensiva che – spiace dirlo – è diventata quasi grottesca.
Va detto che la NBA ultimamente sta cercando di cambiare il formato per provare a re-inventare una formula che pare aver abbandonato la tradizione dei bei tempi in cui le stelle se le suonavano di santa ragione e si potrebbe dire che – per certi versi – da un punto di vista di talento puro, forse la gara della domenica sera era quella più attesa di tutta la stagione perché condensava in quarantotto minuti il meglio che si potesse chiedere in fatto di spettacolo.
Ecco quindi che il dualismo di cui si parlava poc’anzi ci mette di fronte ad alcuni interessanti dibattiti (coinvolgendo attivamente anche i tifosi con un peso nella selezione degli All Star) su quali siano i giocatori più meritevoli e quali quelli che sono stati snobbati (apriti cielo) per poi ritrovarsi sconsolati di fronte ad una partita che negli ultimi anni ha rasentato livelli amatoriali per usare un eufemismo fatta eccezione per qualche schiacciata in campo aperto (senza difesa) che almeno ci ricorda di essere in presenza di atleti con auna prestanza fisica fuori dall’ordinario.
Quale sia la ragione che ha determinato questo calo drastico della competitività non è chiara, ma sempre più spesso i giocatori si sono giustificati sottolineando come la stagione sia faticosa e che nessuno vorrebbe infortunarsi durante una partita pensata per essere in primis un’esibizione.
Al sottoscritto piace pensare in maniera romantica e la ragione principale per questo trend è da ritrovare nell’addio di alcuni giocatori simbolo che della determinazione e della voglia di vincere (a prescindere dalla posta in palio) ne hanno fatto un mantra, come il compianto Kobe Bryant di cui tutti ricordano la Mamba Mentality.
Asciugandoci la lacrimuccia da nostalgici, torniamo in noi e diamo il nostro contributo in merito alle convocazioni per l’edizione di quest’anno affidandoci – come nostro solito – ai dati, ed in particolare a quelli di Basketball reference da cui abbiamo estratto la media punti e il Win Shares sui 48 minuti, ossia il numero di vittorie che un giocatore porta come dote alla propria squadra, normalizzandolo sui minuti giocati.
Nel grafico che segue sono rappresentati tutti i giocatori con almeno 15 minuti a partita di media in funzione delle due metriche citate in precedenza, rappresentando con un cerchio rosso più grande i 24 convocati per la partita delle stelle.
Partiamo col dire che, tolti i nomi imprescindibili – che comunque non sono pochi per onestà – di atleti non meritevoli fortunatamente non ce ne sono anche se, con la formula per la quale oltre ai voti dei fan vengono contemplati i voti degli stessi giocatori e quelli dei coach, spesso capita che si tenda a premiare l’appartenenza ad una squadra che sta performando meglio di altre.
Quest’anno lo snobbato numero uno per distacco è Lamelo Ball che pur avendo ricevuto il maggior numero di voti tra le guardie della Eastern conference alla fine è rimasto escluso anche dalle riserve, avendo un record di squadra (Charlotte Hornets) tutt’altro che stellare, tradotto in un 0,11 Ws/48 a livello personale che probabilmente ha pesato più degli oltre 28 punti a partita.
La metrica delle Win Share su 48 minuti non è necessariamente l’unico indicatore della performance di un cestista ma sicuramente ne può dare una lettura in fatto di contributo a prescindere dal numero di minuti giocati, rendendo più semplice paragonare giocatori con minutaggi diversi e risultati di squadra differenti.
Non è quindi un caso che grosso modo tutti gli All Star si collochino nel riquadro in alto a destra, anche se ci sono alcuni outlier che potrebbero necessitare un commento oltre alla mera statistica.
Il caso più evidente potrebbe essere quello di Evan Mobley (18 punti a partita abbinati ad un discreto 0,20 Ws/48), l’ala forte dei Cleveland Cavs che viaggiano a gonfie vele ai vertici della Eastern conference e che in questa edizione potranno schierare tre atleti vista la presenza della coppia di guardie formata da Donovan Mitchell (come titolare) e Darius Garland (in qualità di riserva).
Un po’ come Mobley, quest’anno sarà la prima volta anche di un altro lungo molto interessante e che va a premiare il buonissimo lavoro della squadra degli Houston Rockets che verranno rappresentati dal turco Alperen Sengun (19,2 punti e 0,18 Ws/48), visto da molti come un Nikola Jokic in the making per le doti tecniche e la visione di gioco piuttosto atipica per un “lungo”.
Tralasciando i nomi super quotati e quelli di tutti i convocati di cui potete trovare le statistiche nella tabella, volendo fare quelli che mettono un po’ di zizzania, l’altro escluso eccellente è Trae Young degli Atlanta Hawks che oggettivamente ha talento da vendere ma gioca in un contesto che di certo non lo aiuta, alla stessa stregua di Tyrese Maxey relegato ad una stagione con il massimo in carriera per punti segnati (27,8) ma che non raccoglie aiuti dalle altre due stelle dei Philadelphia 76ers (Joel Embiid e Paul George) perennemente alle prese con infortuni di varia natura.
Menzione speciale per Luka Doncic (di cui avrete letto recentemente sempre sul nostro portale) che – oltre alla trade di cui è stato protagonista nello shock generale di tutto il mondo cestistico – essendosi infortunato nella gara di Natale, è stato costretto ai box saltando un numero di partite troppo significativo per far sì che potesse essere considerato, nonostante i numeri stellari a cui ci ha abituato.
Non ci resta quindi che lasciarvi esplorare un po’ i dati di tutti i vostri giocatori preferiti in attesa che arrivi il weekend delle stelle anche se le speranze di vedere qualcosa di veramente spettacolare dal punto di vista della competizione hanno la stessa probabilità di quelle che Doncic aveva di essere scambiato se ce lo aveste chiesto ad inizio campionato.
Ad ogni modo, ricordiamo l’appuntamento per il weekend del 14-16 Febbraio in quel di San Francisco a tutti quelli che non si arrendono e restano degli appassionati con la “A” maiuscola che – come probabilmente il sottoscritto – si vedranno a prescindere tutti gli eventi in diretta, con buona pace della puzza sotto al naso decantata nelle righe precedenti.
Per approfondire.
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