Chi ci governerà fra 20 anni? Un’ampia indagine condotta dal Pew Research Center statunitense, ha evidenziato l’importanza della religione come fattore da tenere in considerazione in questo genere di previsioni.
L’indagine ha intervistato circa 55.000 persone in 36 Paesi tra gennaio e maggio 2024. L’obiettivo dello studio era quantificare la diffusione delle opinioni sul cosiddetto “nazionalismo religioso”, sia tra i credenti sia tra coloro che si dichiarano disinteressati alla dimensione spirituale. Le questioni esaminate sono state tre: quanto è importante che il leader sia capace di tutelare i diritti religiosi della popolazione, quanto è rilevante che il leader stesso abbia una fede forte e quanto conti che questa fede rispecchi la proprio convinzione personale.
È emerso per esempio che oggi per grossa parte di paesi del mondo è importante avere leader dotati di una fede religiosa forte. In Europa, la componente religiosa nella leadership politica ha un ruolo tutto sommato marginale, anche in Italia, seppure con una differenza a seconda del titolo di studio. Le persone con un’istruzione inferiore tendono a considerare la dimensione religiosa più rilevante rispetto a chi ha continuato a studiare. Prendiamo un paese dove la componente religiosa gioca un ruolo non da poco: la Turchia. Lì il 61% di chi ha un basso livello di istruzione ritiene essenziale che il presidente difenda le convinzioni religiose, rispetto al 37% tra i cittadini più istruiti. In Francia per contro solo l’11% dei cittadini ritiene fondamentale che un leader difenda i credenti. In Spagna, il 51% della popolazione considera del tutto irrilevante questo aspetto, confermando una tendenza comune a molti Paesi europei di alto reddito, come Svezia e Regno Unito, dove la religione ha un’influenza politica limitata.
A livello globale, soltanto il 22% degli intervistati giudica “molto importante” la condivisione della fede religiosa con i propri leader politici. Tuttavia, questa percentuale varia sensibilmente in base al contesto socioeconomico. Mentre in Europa e nelle economie più avanzate la religione sembra confinata a un ruolo marginale, nelle nazioni a medio reddito e in alcune realtà emergenti continua a esercitare una significativa influenza sulle preferenze elettorali e sulla selezione della classe dirigente. Nei Paesi a medio reddito sale al 48%, mentre scende al 10% nelle economie più avanzate. Bangladesh e Indonesia spiccano con circa tre quarti della popolazione che attribuisce un peso significativo alla comune appartenenza religiosa.
In Europa, anche il tema della corrispondenza religiosa tra cittadini e leader politici risulta marginale: meno di un quarto della popolazione ritiene significativa questa caratteristica. In Svezia, ad esempio, il 68% degli intervistati dichiara che l’appartenenza confessionale non influisce sulle proprie preferenze elettorali. Al contrario, nei Paesi a medio reddito come Bangladesh e Indonesia, circa il 75% della popolazione considera fondamentale che i rappresentanti politici condividano la propria fede. Un dato interessante riguarda il Sudafrica, dove il 33% degli adulti non affiliati ad alcuna religione attribuisce comunque rilievo alla questione, una percentuale superiore a quella registrata tra i cristiani in Francia (8%) o in Polonia (16%).
L’analisi del Pew Research Center mette in luce anche differenze legate all’appartenenza confessionale. In Cile, ad esempio, i cristiani si rivelano tre volte più propensi rispetto ai non affiliati a considerare importante la comunanza di fede con il presidente (26% contro 8%). Tra i musulmani, l’importanza attribuita alla religiosità del leader è generalmente elevata, anche se con alcune eccezioni: in India, ad esempio, sono gli induisti a mostrare maggiore sensibilità alla questione, con il 63% rispetto al 53% dei musulmani.
Un altro fattore determinante è la pratica religiosa. Nel Regno Unito, il 29% di chi prega quotidianamente considera cruciale avere un primo ministro con solide convinzioni religiose, rispetto al 6% di chi prega meno frequentemente. In Perù, questa differenza si fa ancora più marcata, con un divario di 19 punti percentuali tra chi prega regolarmente e chi si dedica alla preghiera in modo sporadico.
Le regioni dell’Asia meridionale e sudorientale, insieme all’Africa, si distinguono per una più spiccata propensione a valorizzare la dimensione religiosa nella leadership politica, anche senza una piena condivisione della stessa fede. In Indonesia e Kenya, oltre la metà della popolazione considera essenziale che i leader dimostrino una forte fede religiosa, mentre in Australia e Francia questa posizione è condivisa solo dal 7% degli intervistati.
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